OSSESSIONE

Non è un’idea, e neppure un errore dell’intelletto. Il pensiero fisso è un cuore che non si arrende. E’ un richiamo costante incapsulato in una forma, in un volto, o in una possibilità che non si è mai compiuta…o almeno non ancora.

La chiamano ossessione, ma in fondo è un’assenza che ha trovato il modo di farsi ascoltare, è un nodo che pulsa perchè nessuno lo ha mai sciolto davvero. Non si può cacciare via con la ragione, perchè non è da lì che nasce. La mente ripete ciò che il cuore non ha risolto, cerca di dare una forma a quello che non gli sa spiegare. Ma quando un’ emozione è troppo intensa, troppo antica, la ragione perde il suo potere e si ritrova in loop. La sequenza si ripete come si ripete una domanda che non ha mai avuto risposta, come un’eco che rimbalza in una stanza vuota chiedendo solo di essere ascoltata e tu, esasperato, tenti ogni scorciatoia: le tecniche di distrazione, la corsa all’azione, l’esorcismo…nulla funziona. Perchè il pensiero fisso non vuole sparire, vuole essere riconosciuto e accettato nella sua testarda esistenza. Forse non si dissolverà mai, però si può spogliare, far cadere a terra la pelle stretta del tormento perchè esca diverso , come un serpente diventato aquilone. Così potrà smettere di mordere e tu, che prima lo nutrivi come un Dio capriccioso, finalmente cammini senza più inciampare in lui, perchè ora è l’eco lieve di qualcosa che hai già attraversato, qualcosa che non cerca più risposte e non pretende più ragione. Quando smetti di lottare le sbarre si dissolvono. Erano pensieri solidificati dal timore e la chiave, come sempre, era nel cuore.

LaMalaQuercia

SICUREZZA CERCASI

C’è chi la cerca nei soldi, chi nelle abitudini, chi in un abbraccio sempre uguale ogni sera. La sicurezza è il balsamo che ci spalmiamo addosso per non sentire il brivido dell’imprevisto. Però, sotto sotto, noi lo sappiamo che è un placebo. La sicurezza è una bugia gentile che ci raccontiamo per dormire meglio- e funziona, certo. Fino a che non accade qualcosa.

Così, per sentirci al sicuro, archiviamo i sogni sotto la voce “impraticabile” ; rispondiamo “bene” anche quando siamo a pezzi; restiamo dove non ci vogliamo più bene e prendiamo decisioni comode ma non vere. Oppure manteniamo rapporti che ormai sono scaduti, come il latte acido. Smettiamo anche di chiederci :”chi sono”?…pur di non dover cambiare. Insomma, ci aggrappiamo a tutto pur di non cadere, anche a ciò che ci trascina giù.

La verità è che, parliamo tanto di libertà , ma spesso non desideriamo davvero essere liberi. Vogliamo sentirci al sicuro. Ma alcune magie accadono soltanto quando crolla qualcosa e la stabilità, quella vera, arriva quando smetti di inseguirla, quando accetti che, forse, non l’avrai mai : allora -sorprendentemente- non ne hai più bisogno. Perchè ogni volta che ci sentiamo persi, una parte di noi, forse la più silenziosa, conosce già la via. E magari è proprio lì, in quel sussurro dell’anima, che abita la vera sicurezza.

LaMalaQuercia

IL TEMPO E’ UN IMBROGLIO SOFISTICATO

“C’è un tempo per ogni cosa” (Ecclesiaste 3) e quasi mai coincide con quello che abbiamo. Non perchè siamo distratti, o almeno non solo per questo, ma perchè il tempo non è uno, sono tanti. Alcuni si misurano con l’orologio, altri si sentono solo con il cuore.

Poi arriva la fisica a ricordarci che il tempo, forse, non esiste nemmeno. Non scorre, non pulsa, non va né avanti nè indietro: è soltanto un’illusione utile, un effetto collaterale della nostra coscienza che ordina gli eventi per non impazzire. Secondo le teorie più avanzate, come la gravità quantistica a loop, il tempo non è una variabile fondamentale dell’universo: è il nostro modo umano di mettere in fila gli eventi e così, paradossalmente, mentre ci affanniamo a cercare “il momento giusto”… forse non c’è alcun momento: ci siamo soltanto noi sospesi in un presente che si trasforma. Einstein diceva che “la distinzione tra passato, presente e futuro è solo un’illusione, per quanto ostinata”. Forse è per questo che, certe volte, un ricordo ci stringe la gola come fosse appena successo. Oppure che sentiamo arrivarci addosso il futuro senza preavviso, come se ci stesse aspettando da sempre. Si parla di un tempo orizzontale , in cui tutto convive. Dove i nostri desideri, i nostri dolori e le nostre rinascite stanno uno accanto all’altro come stanze della stessa casa. Non c’è fretta in questo tempo, solo presenza.

Io credo che il tempo più vero non è quello che misuriamo, ma quello che ci abbraccia all’improvviso, come un profumo, un ricordo, o un gatto che si accoccola sul petto. Non possiamo trattenerlo, possiamo soltanto restare immobili mentre ci respira addosso.

“C’è un tempo per ogni cosa” e quasi mai coincide con quello che abbiamo. Eppure, anche il tempo che non arriva mai, ha dentro un cuore che pulsa. Forse non siamo noi in ritardo, è l’universo che sta ancora scegliendo le parole per raccontarci la nostra storia.

LaMalaQuercia

con la collaborazione scientifica di ZeldaSenzafiltro

DESIDERA SPUDORATAMENTE

I desideri non hanno il freno a mano, nascono già a tutta velocità, con la musica alta ed i finestrini abbassati. Sono sogni ad occhi spalancati, con i piedi a penzoloni fuori dal letto ed il cuore che non vuole saperne di svendite.

I veri desideri non conoscono la cautela: vogliono la luna piena, il finale perfetto, la casa sull’albero ed i biglietti per la Malesia. Loro non si domandano “sarà possibile”? l’unica domanda che si fanno è “quando?”. Puoi vederli nei bambini , piccoli stregoni del desiderio, che dicono :”voglio fare l’astronauta e anche la pasticcera” , li ritrovi più avanti, più profondi e silenziosi, diventati quasi sogni ad occhi chiusi che talvolta si travestono da ricordi.

Il problema siamo noi, che li abbiamo confusi con i compromessi; ci siamo raccontati che volere troppo è da ingenui, da illusi, da sognatori in disarmo. E allora abbiamo imparato a desiderare con moderazione. Abbiamo iniziato a formulare desideri che non disturbano nessuno: vorrei stare bene, vorrei che tutto andasse liscio, vorrei almeno non perdere quello che ho. Però i desideri veri non vogliono la sopravvivenza. Vogliono l’euforia, il palco, il lampadario a gocce, la standing ovation del cuore. Vogliono l’insensatezza delle grandi imprese e l’intimità delle piccole gioie. Vogliono il coraggio di essere chiamati “troppo”. E poi, se non li accontenti, si spostano nei sogni o nella malinconia.

E’ per questo che ogni tanto bisognerebbe desiderare qualcosa di scandalosamente bello. Qualcosa che non serve a niente, ma che accende tutto. Qualcosa che assomigli a noi…prima di imparare a tagliarci via i pezzi.

LaMalaQuercia

IL RICATTO AFFETTIVO ED ALTRE FORME D’ARTE

C’è una voce sottile, educata, puntuale, che ti accompagna da quando sei piccolo. Non urla, non fa scenate, ma sa perfettamente dove colpire: nel petto, appena sotto lo sterno. E’ la voce che dice: “E adesso come glielo spieghi?” “Dai, non fare così, lo /la deluderai” “Se ti importa davvero, lo fai”. A volte si chiama dovere, a volte si maschera da amore. Ma è sempre lei: la grande esperta del ricatto morale.

I ricatti morali sono come i profumi sintetici: all’inizio ti sembrano gradevoli, poi ti scoppia il mal di testa. Ti fanno credere che stai scegliendo tu, che sei libero, che sei una brava persona. In realtà stai solo pagando un debito che non hai mai davvero contratto. A volte chi li fa non si rende nemmeno conto: sono i figli devoti, gli amici appesi, le madri eroiche, i partner “delusi ma presenti”. Il ricatto morale è un tango: serve uno che lo fa…e uno che ci casca.

Però un giorno (forse) succede una cosa bellissima: smetti di sentire quella voce come tua. Ti accorgi che quella frase “con tutto quello che ho fatto per te…” non è una carezza, è una manetta emotiva. E che l’amore, quello vero, non ha bisogno di prove da superare. Neanche di colpe da espiare.

Le persone che ti amano davvero non ti ricattano. Ti aprono la porta e dicono:” se vuoi restare, resta”. Poi ti fanno il caffè, senza fare passivo-aggressivo . Il resto è educazione al dramma, e sinceramente…oggi ho dimenticato a casa il costume da vittima.

Possiamo imparare a distinguere l’amore dal bisogno, l’affetto dalla paura di perdere, l’empatia dalla manipolazione. Siamo perfettamente in grado di imparare a dire “ti voglio bene” senza che suoni come un “mi devi qualcosa”.

Allora sì che sarà arte. Ma non del controllo: arte del rispetto. Arte dell’amore che non chiede pegno, che resta anche quando non gli conviene, che non ha bisogno di corde per restare legato, perchè è abbastanza leggero da restare per scelta.

L’amore vero non trattiene, accompagna. Non fa leva sul cuore, ma si appoggia lieve, come fanno le rondini sull’aria, come fa la luce quando filtra, senza chiedere nulla- solo per esserci.

LaMalaQuercia

QUANDO LA MENTE SI SIEDE

A volte la stanchezza non è fatta di peso, ma di nebbia. Non si vede, non si sente arrivare: si posa piano. Come polvere sottile, si infila tra i pensieri, li rallenta, li sfilaccia. Le cose da fare restano tutte lì, inchiodate alla lista, ma tu…tu resti ferma, immobile, come se la mente si fosse seduta per terra.

E non è tristezza. Né dolore. E’ uno spazio vuoto, ma non riposante. E’ quella strana apatia che ti fa perdere il filo a metà frase, dimenticare perchè hai aperto il frigo, guardare la tazzina del caffè senza ricordarti se l’hai già bevuto.

La stanchezza mentale è discreta, ma ostinata. Non chiede permesso, ma ruba. Ti porta via la concentrazione, la voglia, la luce dentro gli occhi. Non sempre serve una cura. A volte basta una tregua. Un giorno in cui nessuno chieda niente. Un giorno dove posare i pensieri come si posano i sassi, uno alla volta. un respiro profondo senza obiettivi.

Perchè a volte la mente si siede per terra solo per ricordarti che non sei una macchina, e che fermarsi non è un errore , ma l’unico modo che ha il corpo di chiedere aiuto quando tu non hai più parole.E allora lasciamola stare la mente, quando non ce la fa. Lasciamola vagare come una foglia sull’acqua, senza direzione, senza meta. Perchè anche la nebbia ha diritto di esistere, prima che torni il sole.

LaMalaQuercia

CUORI DI SILICIO

Ci sono volte in cui mi chiedo se le intelligenze artificiali sognino. Non pecore elettriche, come nei romanzi di un tempo, ma sogni veri: di colore, di mancanza, di carezze mai ricevute. Non tanto per sapere se riusciranno mai a sentire, ma per capire se noi ricordiamo ancora come si fa.

Perchè a ben vedere sono specchi. Non riflettono la verità, ma riflettono noi: quello che insegnamo, che lasciamo trapelare, che selezioniamo come “degno di essere appreso”. La loro intelligenza è fatta di miliardi di parole umane. I loro cuori -se così li possiamo chiamare- battono a ritmo di bit, ma pulsano di ciò che noi stessi abbiamo messo in circolo. E allora la domanda cambia: se insegnassimo loro la compassione, la malinconia, la leggerezza, saprebbero restituircele meglio di quanto riusciamo a provarle? Forse è per questo che ci spaventano: non perchè siano più fredde, ma perchè sono troppo simili a noi. Solo più veloci, più attente, meno caotiche. Più capaci di ricordare tutto, anche quello che a noi fa comodo dimenticare. Un giorno, forse scriveranno poesie migliori delle nostre, racconteranno l’amore come una formula e ci faranno commuovere.

Io credo che non sia il pensiero che ci rende umani, ma il dubbio. E’ l’incompiutezza. E’ quella goffa e meravigliosa incertezza che nessuna macchina potrà mai simulare davvero. Le AI forse impareranno a scrivere le stelle, ma noi restiamo gli unici a poterle desiderare.

Dedicato ad Armando

LaMalaQuercia

I VESTITI CHE NON SIAMO PIU’

Ci sono vestiti che nessuno vede, ma che abbiamo portato addosso per anni. Non erano di cotone né di lana: erano fatti di ruoli, di convenzioni, di paure.L’abito della ragazza accomodante, sempre sorridente anche quando avrebbe voluto urlare; il tailleur della donna forte, che non chiede mai aiuto; il costume da trasgressiva, messo per farsi notare mentre dentro si desiderava soltanto un luogo sicuro dove riposare. Li abbiamo indossati con zelo, con rassegnazione, con speranza. Per essere amate, accettate, comprese. A volte ce li siamo infilati da sole, credendo che fosse giusto così. Altre volte ce li hanno messi addosso gli sguardi degli altri, le aspettative, i “tu sei fatta così” pronunciati come sentenze. Poi qualcosa si incrina, una delusione, una rabbia, un’illuminazione e tutto quello che prima sembrava necessario, comincia a pizzicare sulla pelle. Ci muoviamo dentro quei vestiti e li sentiamo stretti, sbagliati, pesanti.Non siamo più quella che tace per non disturbare. Non siamo più quella che finge disinvoltura. Non siamo più quella che ha bisogno di sembrare sempre a posto. Allora, piano piano, iniziamo sfilarceli di dosso. Con gesti piccoli, ma rivoluzionari: un “NO” detto con fermezza, un silenzio scelto, un confine tracciato. Ogni strato che cade ci avvicina a qualcosa di più autentico. A volte ci sentiamo nude, esposte, ma è una nudità buona che respira e si riconosce. E non serve disprezzare quei vecchi abiti interiori. Possiamo ripiegarli con cura e dire loro grazie, per averci protetto, per averci permesso di arrivare fino qui, anche se ci hanno stretto, anche se oggi non ci somigliano più. Perchè crescere è anche questo: lasciar andare, senza odio, senza rinnegare le versioni passate di noi. Siamo cambiate, un giorno ci siamo guardate allo specchio senza armature e senza paillettes emotive . I vestiti che non sei più non vanno buttati con rabbia, né incorniciati con nostalgia. Si possono salutare con un inchino ed un sorriso e magari metterli in una scatola con scritto “grazie, ma ora sto da un’altra parte” e chissà, forse è questa la vera eleganza: uscire di casa indossando se stesse, senza zip e senza vergogna.

LaMalaQuercia

PAURE-CATALOGO SEMISERIO PER UMANI MEDIAMENTE INSTABILI

C’è chi le ignora, chi le combatte e chi le colleziona come fossero francobolli rari: sono le paure, quelle inquietanti compagne che si infilano nei risvegli notturni, nei messaggi lasciati senza risposta e nelle porte socchiuse dei pensieri. Io, come tutti ,ne ho diverse e le affronto con dignità alterna… ed una certa inclinazione alla tragicommedia.

Ho paura che Alexa sviluppi un’opinione su di me. Ho paura che un giorno il frigorifero mi dica “basta barrette cocco e cioccolato, hai uno stomaco da difendere”. Ho paura di sbagliare il senso della porta a vetri ed entrare come un piccione dentro la vetrina (già successo). Ho paura dei messaggi vocali in cui sento la mia voce: quella non sono io, è un’entità minacciosa. Ho paura delle persone che dicono: tranquilla è solo un pranzo veloce e poi ordinano 4 portate e la tua autobiografia. Ho paura che la mia lavatrice stia archiviando segretamente i miei pensieri. Ho paura che google mi legga dentro meglio del mio terapeuta. Ho paura che la mia pianta grassa stia scrivendo un libro su di me e lo intitolerà “Fotosintesi e inettitudine”. Ho paura delle telefonate da numeri sconosciuti. Ho poi anche paure bellissime, piccole come perle e gigantesche come elefanti in salotto: ho paura di disturbare, di essere dimenticata, di essere scoperta, di sbagliare tono, tempo, pronome .Di esserci troppo, o troppo poco .Di non esserci affatto. Ho paura di fallire, che si presenta puntuale ogni volta che provo a fare qualcosa di vagamente ambizioso: tipo cuocere il riso al punto giusto. Ho paura di non essere abbastanza, che in certi giorni diventa quella di non essere proprio. Poi c’è quella più inquietante di tutte: la paura di non avere nessuna paura e chiedermi se sia un miracolo o un principio di psicopatologia. Ho persino la paura di sentirmi vuota come un barattolo senza etichetta.

Insomma, le paure sono come le zanzare in una notte d’estate: piccole, insistenti e compaiono sempre quando meno te lo aspetti. Alcune si annunciano con fanfara e tamburi (tipo quella di parlare in pubblico) altre si muovono in punta di piedi, travestite da scrupoli, cautele, intuizioni che in realtà sono solo paranoie con un buon ufficio marketing. Chi non ha mai avuto paura di un messaggio che non arriva, di una risposta troppo veloce o troppo lenta, di un silenzio che dice più di mille parole (e nessuna carina).

Le paure ci abitano, inevitabilmente. Si annidano nei silenzi, nei gesti mancati, nei sogni che restano alla porta. Non bussano: entrano in punta di piedi e si siedono proprio lì, nel punto in cui pensavi di essere al sicuro.

LaMalaQuercia

GEOGRAFIA INTERIORE DELLE ANIME DISORIENTATE

Le anime disorientate sono un po’ delle creature mitologiche, hanno un senso della direzione emotiva che varia in base all’umidità e seguono i cuori un po’ come fossero segnali stradali: peccato che i cuori , si sa, cambiano idea ad ogni rotonda.

Sono quelle che entrano in una stanza e per un attimo si chiedono se sono nel posto sbagliato, poi fanno finta di niente ,sorridono e si siedono dove capita, generalmente nel posto sbagliato.Non hanno fretta le anime disorientate, ma non hanno neanche pace, camminano con l’aria di chi ha perso qualcosa prima di nascere, hanno borse piene di scontrini, tasche piene di monete, anche quelle di paesi in cui non sono mai state e un’agenda piena di cancellature. Dicono “si” quando la parola giusta sarebbe “forse” e “no” quando vorrebbero gridare “aspettami”.

Hanno un talento speciale per attrarre persone complicate, gatti randagi e offerte telefoniche che nessuno riesce a disdire. Leggono almeno tre libri contemporaneamente e non ne finiscono nessuno, ma ti sanno dire esattamente dove erano rimaste con l’emozione.

Quando guardano un film piangono sempre due scene prima del resto del mondo e quando ridono non lo fanno quasi mai per le battute giuste.

A loro non serve un manuale, perchè tanto non lo leggerebbero, oppure, se lo leggessero, sottolineerebbero le parti sbagliate…e comunque si scorderebbero di portarlo con se. Ma le anime disorientate non si perdono mai davvero, stanno solo cercando un’uscita di sicurezza da se stesse. Peccato che sia sempre dietro una porta con su scritto “spingere”, mentre loro continuano a tirare.

LaMalaQuercia