Che stanchezza….

Viviamo esposti. A tragedie che scorrono come intrattenimento, a opinioni obbligatorie , reazioni immediate, posizioni da prendere…anche quando dentro siamo svuotati. Siamo stanchi ,ma non perchè dormiamo poco, è una stanchezza che non riguarda il corpo, anche se dal corpo viene portata.Nasce nella mente: quando pensare non basta più e tutto deve essere spiegato, difeso, semplificato, schierato. Nasce nell’emotività: quando sentire troppo diventa un difetto e la fragilità qualcosa da correggere. Siamo stanchi…mentalmente…emotivamente: stanchi di dover funzionare in un mondo che continua a chiedere prestazioni senza darci indietro neanche un “senso” per le sue richieste. E’ un’epoca che consuma le persone, che chiama “resilienza”la sopravvivenza forzata. Che normalizza la violenza e pretende che la si digerisca senza fare domande. Siamo stremati dal dolore che ci passa davanti come un fiume in piena, senza ponti, senza riparo. Di essere sempre presenti, reperibili, mentre dentro manca il respiro. La nostra non è debolezza, non è pigrizia, non è mancanza di volontà: è sovraccarico. Siamo saturi di rumore, di richieste , di una normalità distorta che ha perso il senso del limite, ma non la pretesa di obbedienza. Questa stanchezza non è un fallimento individuale, ma una risposta sana ad un sistema malato. E’ il corpo che dice “BASTA” quando la mente ha già capito che continuare a correre , fare finta , reggere tutto, non è forza. E’ anestesia.

Riconoscere la stanchezza non è arrendersi. E’ smettere di collaborare con ciò che ci consuma. Perchè un mondo che funziona solo se siamo esausti non è efficiente. E’ violento. La stanchezza non è un crollo, è una luce che si abbassa perchè il buio possa dire qualcosa che il giorno non ha mai avuto il coraggio di ammettere. E, se restiamo abbastanza fermi, abbastanza sinceri, forse sentiremo che sotto questa stanchezza c’è una domanda antica che chiede soltanto quale strada prendere per non farci logorare più.

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COME ANNA, COSÌ KATE

Kate Winslet non vuole che le cancellino le rughe. Ha detto : “Se l’autostima delle donne passa da quanto sono attraenti, allora è davvero molto triste”. Ha ragione. C’è qualcosa di profondamente distorto e avvilente in un mondo che misura il valore femminile in centimetri di pelle levigata o nei secondi in cui uno sguardo ci si ferma sopra. Le rughe non sono un difetto, come vogliono farci credere, sono testimoni silenziose di ciò che siamo state. Ogni ruga è una parola incisa a mano, come impugnando un bisturi sottile: una risata, un dolore, una nascita, un inverno del cuore. Il mondo ha paura dei volti che raccontano la verità. Meglio uno specchio vuoto, rassicurante, piuttosto che uno che ci costringe a guardare il tempo, la vita che ci ha attraversate. Non è la prima volta che una donna dello schermo dice NO al ringiovanimento. Anna Magnani, anni fa, lo dichiarò senza esitare: “ Non toglietemi nemmeno una ruga. Ci ho messo una vita a farmele”. Parole che oggi risuonano nelle scelte di Kate. Due attrici, due epoche, lo stesso rifiuto: quello di cancellare i segni di una vita vissuta, solo per rientrare in uno sguardo che invecchia prima di loro. E’ un’alleanza silenziosa, fatta di pelle nuda e verità. Ma non ci si può limitare ad invecchiare: sarebbe bello scegliere di farlo in piedi, a schiena dritta, senza dover sembrare qualcun altra per essere ascoltate. Senza vergognarsi di mostrare il tempo sul volto, nei capelli, nelle mani.

Che le rughe restino, come restano le orme sul sentiero dopo il cammino. Come restano gli alberi dopo l’inverno, segni del tempo, ma anche di tutto ciò che siamo riuscite a fiorire malgrado il vento. Di tutto quello che abbiamo avuto il coraggio di essere. Non chiediamo sguardi “nonostante” le rughe, ma “attraverso” di esse. Perchè la verità non toglie bellezza: la fa risplendere.

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RANDAGI

Ci sono creature che nessuno aspetta. Arrivano senza essere chiamate e se ne vanno senza lasciare indirizzo. Le puoi riconoscere dallo sguardo: è quello di chi ha dormito sotto troppi cieli per credere che esista davvero un “per sempre”. I randagi non bussano, non si spiegano, non si scusano nè elemosinano amore, anche se a volte ne hanno bisogno più di chiunque altro. Vivono di istinto e di ferite e diffidano delle carezze troppo improvvise. Eppure, se ti scegliessero – anche solo per un minuto – capiresti che non c’è fedeltà più intensa di quella di chi ha conosciuto l’abbandono e ancora, nonostante tutto, torna.

Randagi a 4 zampe o a 2 gambe non fa differenza, portano dentro tutti lo stesso vagabondare, anche quelli che non sanno restare, che fuggono prima che tu possa affezionarti, che si salvano da soli, ma ogni tanto, vorrebbero che qualcuno li inseguisse lo stesso. Hanno imparato a non pensare, a non chiedere, a scomparire in silenzio per non disturbare. Non vogliono padroni, né gabbie dorate. Solo un angolo dove poter essere se stessi senza doverlo spiegare ogni volta. Hanno fame. Di cibo, di riparo, ma più di tutto di rispetto e, se li guardi bene, può darsi che tu riconosca in loro qualcosa di te. Oppure qualcosa che avevi dimenticato di essere. C’è una dignità ruvida in chi non appartiene a nessuno, ma continua a camminare. E forse, in fondo, siamo tutti un po’ randagi in cerca di un posto dove posare il cuore senza sentirci in pericolo.

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IL CALCIO AL CADUTO: IL NUOVO SPORT NAZIONALE

C’è qualcosa di profondamente umano, o terribilmente disumano nel prendersela con chi è già a terra. Una specie di riflesso condizionato, una pulsione primitiva mascherata da senso di giustizia: “se è finito così qualcosa lo avrà pur fatto” . Ed ecco che parte il tiro libero, il colpo finale, il giudizio morale lanciato quando l’altro non ha più fiato per rispondere. Perchè l’essere umano, quando vuole sentirsi migliore non cerca qualcuno da aiutare, cerca qualcuno da superare. A volte lo si chiama “dare una lezione” altre “mettere i puntini sulle i”, ma in fondo è solo una rivalsa travestita da virtù. Ci vuole più coraggio a lasciar andare che a colpire ancora. Non c’è dignità nell’umiliazione inflitta a chi ha già perso. Chi è a terra Non può reagire, non può difendersi, soprattutto non può contraddire. E’ perfetto! Che soddisfazione non è vero? Dare l’ultima spinta a chi ha già perso l’equilibrio . Una “spintarella etica”, magari piccola, travestita da “lo dico per il tuo bene” , oppure una bella lezione di vita mentre l’altro sta ancora raccogliendo i pezzi. Siamo tutti bravissimi a mostrare i muscoli morali quando non siamo più in pericolo, quando la partita è chiusa e ci si può gonfiare il petto davanti a chi non ha più il fiato per parlare. Poi ci raccontiamo che è giusto così, che “se l’è cercata” che “io non mi sarei mai ridotto in questo modo”. Facile no? Invece è stare zitti che è difficile, trattenere il colpo , accorgersi che lì, a terra, potremmo esserci noi. Ma questo richiede già una cosa ormai fuori tempo : l’arte dimenticata della compassione.

Non si prende a calci chi è già a terra, a meno che , non si senta la necessità impellente di mostrare tutta la propria miseria.

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SEMPRE UN PO’ FUORI, SEMPRE UN PO’ ALTROVE

C’è chi si sente a casa ovunque e chi si guarda sempre intorno con discrezione, imparando presto a muoversi piano per non disturbare un mondo che sembra appartenere a qualcun altro. Sì inizia da bambini, quando si è gli ultimi ad essere scelti nei giochi; succede poi da grandi, quando, anche tra mille voci il silenzio dentro resta il più forte. A scuola, al lavoro, nelle amicizie, perfino nei silenzi condivisi…c’è sempre qualcosa che stona, un margine che non combacia, una distanza che non si colma. Non è solitudine né timidezza, è la sensazione di essere ospite della propria vita, come se tutto avesse un ordine segreto a cui non si è stati invitati. Allora si impara ad osservare, a leggere tra le righe, a non occupare troppo spazio. Sì impara ad esserci, ma senza farsi notare, a sorridere quando si vorrebbe urlare o a sembrare forti mentre si cerca soltanto un posto dove appoggiare il cuore.

Chi vive così finisce per abitare le intercapedini, non entra mai completamente, ma neanche se ne va, resta in quella terra di mezzo dove tutto si ascolta “più forte”, dove gli altri passano senza accorgersi, e tu resti lì, a trattenere quello che nessuno vede.E quello è forse l’unico luogo che conosci davvero, che ti accompagna ovunque diventando la tua “zona confort”. “I bordi” diventano la tua casa ed i vuoti i tuoi respiri, mentre sei una presenza in quei luoghi che gli altri attraversano senza vedere. Ma forse non serve appartenere, forse non siamo fatti per entrare ovunque, né ci serve “un posto” ma soltanto una “tregua” dove poter essere niente, senza dover diventare qualcuno per essere visti.

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SIM SALA BIM

C’è chi non urla, finge di non comandare, ti guarda e sorride. Ti ascolta, ti elogia, ti sceglie dicendoti quanto vali, ma poi, con dolcezza, comincia a farti dubitare di tutto . La manipolazione è un’arte raffinata. Non ti dice cosa fare, ti fa credere che tu lo voglia.E’ cura che pesa, empatia che controlla e tu, grato, cedi …e piano piano smetti di decidere per te. Modifichi i tuoi gusti, le tue parole, i tuoi silenzi. Per non deludere, per non ferire, per non essere lasciato.Ti convincono che sei fragile, che esageri che rovini tutto, che sei un problema. Così inizi a dubitare della tua stessa pelle, di quella voce interna che continua a sussurrarti che qualcosa non torna. Ti abitui al senso di colpa ,come se fosse parte dell’amore, ti scusi per essere te stesso e continui a sorridere. Finché un giorno capisci che l’amore non dovrebbe avere fili, che la libertà non te la devi guadagnare: è tua di diritto. Sim Sala Bim e l’incantesimo si spezza. La nebbia si dirada ed il trucco è svelato. Perchè l’amore non ti addomestica, non ti piega, non ti plasma .L’amore ti guarda negli occhi e ti lascia libero, anche a costo di perderti

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MAGIA SOTTILE

C’è qualcosa di magico nella gentilezza, come se ogni gesto piccolo avesse il potere di rimettere a posto il mondo per un attimo.E’ una magia che resiste ad ogni epoca, accade in un gesto che solleva, in uno sguardo che protegge o in una parola che non giudica. Essere gentili è una forma di intelligenza, di misura, di profondità. E’ la scelta di non indossare corazze, anche quando il mondo spinge ad armarsi. La gentilezza è la sola forma vera di superiorità. Non quella formale dei modi educati, ma quella che nasce dal riconosce l’altro come parte viva di sè, quella che rallenta il passo, che ascolta senza interrompere, che porge la mano quando non c’è nessun vantaggio. Essere gentili richiede presenza, cura ed una forza interiore che non ha bisogno di dominare. Abbiamo tutti bisogno del coraggio di essere gentili. Forse è proprio questo il segno dell’elevazione: non quanto in alto riesci ad arrivare, ma quanto riesci a non perdere delicatezza mentre sali. La vera nobiltà non si mostra mai, passa, ascolta e lascia nel cuore degli altri una carezza che non cerca eco, non lascia debito: non vuole nulla in cambio. Chi è gentile ci attraversa come fa la luce con il vetro, non ferma il cammino, ma lo illumina.

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IL CUORE SI SPEZZERA’

Ispirato alla frase di Lord Byron che chiude il film “Frankenstein” di Guillermo Del Toro

“IL CUORE SI SPEZZERA’ E SPEZZATO CONTINUERÀ’ A VIVERE”

Non è solo una citazione poetica, è una verità scomoda, una di quelle che preferiremmo dimenticare, perchè vorremmo che il dolore avesse un limite, una fine, una ragione. Invece no, il cuore si spezza e…continua a battere.

Non sempre il dolore trasforma, a volte resta lì, non insegna nulla, non illumina nè redime, ma ci attraversa comunque da parte a parte come una spada e ci cambia, senza che ce ne accorgiamo.

Ci sono persone che, nonostante tutto non smettono di sentire, portano il cuore come un bicchiere scheggiato che ancora trabocca e taglia ogni volta che viene avvicinato alle labbra. Sono quelle che non diventano ciniche, che non rispondono al male con altro male. Che non si difendono con la rabbia e non si nascondono dietro l’indifferenza. A volte sono stanche, tremano, però non smettono di riconoscere il volto dell’altro come una parte di sè.

Questo nostro tempo è spaventato dalle fragilità, ci vuole veloci, performanti e risolti. Ma la vera forza potrebbe forse abitare in chi non si protegge del tutto, in chi lascia uno spiraglio aperto anche quando sarebbe più comodo chiudere .

Che dignità in certi cuori spezzati. In chi ha perduto, ma ancora spera. In chi è stato lasciato indietro, ma non lascia indietro nessuno. In chi ha tutte le ragioni per diventare duro, ma sceglie la tenerezza. Che ostinazione dolce e regale li abita , malgrado siano rotti, continuano a voler bene al mondo, anche se nessuno riesce più a sentire i loro battiti.

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POST BANALE

Lo sappiamo già tutti, lo abbiamo detto mille volte, ne abbiamo pontificato fino alla noia:ma intanto continuiamo a comportarci come se riguardasse solo gli altri e, con nonchalance, alleviamo bulli.Con ogni risata cattiva. Con ogni commento velenoso travestito da “sincerità”. Con ogni battuta pesante fatta per strada, in ufficio…sui social.

Ogni volta che ridicolizziamo qualcuno, ogni volta che usiamo quel tono sprezzante, noi, gli adulti, scegliamo la violenza verbale nascondendoci dietro ad un “è solo un opinione”.

Alleviamo bulli quando insultiamo un passante in auto, quando diciamo “è un coglione” riferendoci a qualcuno che non è presente. Quando correggiamo con tono “superiore”, quando umiliamo, interrompiamo, escludiamo. Lo facciamo davanti ai nostri figli e poi ci indigniamo quando i bambini bullizzano un compagno; quando fanno branco, quando prendono in giro, quando picchiano, quando escludono.Ma chi glielo ha mostrato questo gioco crudele se non noi, ogni giorno, a casa, al lavoro, online.

Non sono i videogiochi, non sono i social, non è la scuola. Siamo noi. E finchè non smetteremo di agire come branchi feroci travestiti da gente civile, non abbiamo nessuna lezione da impartire. Perchè i bambini non ci ascoltano, ci copiano.

Sì, è vero, le conosciamo bene queste belle verità. Sono scritte, riscritte, annunciate,le sfoderiamo nei talk show, le incorniciamo nei post social, ce le diciamo “tra adulti consapevoli” mentre ci diamo pacche sulle spalle. Poi ci alziamo, e nel mondo reale torniamo ad essere esattamente il problema. Ma con stile. E magati con la t-shirt contro il bullismo bene in vista.

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VITA

Che viaggio strano la vita, non è un sentiero tracciato nè una mappa affidabile. Deviazioni, ritorni, tappe provvisorie che invece diventano stanziali. Addii che sono svolte, incontri da nulla che cambiano tutto. A volte si corre, altre si resta fermi, ma il paesaggio dentro di noi continua a cambiare. Ci sono stazioni dove restiamo troppo tempo, binari che prendiamo per errore…e continuiamo a camminare con zaini invisibili pieni di cose taciute, di domande, di persone che non ci sono più, di desideri che ancora brillano. Non si tratta di arrivare, non solo: si tratta di attraversare . Attraversare la notte, la solitudine, l’attesa, le gioie piccole ,i dolori muti e quelli che urlano. I giorni in cui non si sa più dove si sta andando e quelli in cui si sente che ogni passo ha un senso. Sarà che dobbiamo cambiare noi stessi mentre ci muoviamo? Che dobbiamo diventare qualcuno che non conoscevamo all’inizio, ma siamo sempre noi? E’ un lungo viaggio, ci mostra passo dopo passo un frammento di verità che si compone solo nel tempo di chi ha il coraggio di restare in cammino. Forse non lo sapremo mai dove stiamo andando, ma le orme che lasciamo , a volte leggere come polvere, altre profonde come ferite, faranno da testimoni al nostro passaggio e diranno :”tu sei stato qua”. E anche se il vento tenterà di cancellarle, la terra ne avrà memoria. Perchè ogni passo, anche il più incerto, ha inciso il suo senso in quel luogo segreto dove il cielo china il capo ad ascoltare.

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