IL RICORDO SELETTIVO DEL CUORE

Scrisse Dostoevkij che “l’uomo preferisce sempre ricordare il proprio dolore piuttosto che la felicità”: è che il dolore incide, ferma il tempo. Ti obbliga a sentirlo, guardarlo, portarlo con te. Mentre la felicità è lieve, non fa rumore, non lascia cicatrici…passa e va. E’ il dolore che si fa ricordare da solo, non scegliamo di ricordarlo, come una pagina strappata che non smette di tagliare. La felicità si dissolve come un sogno al risveglio, mentre il dolore è lì che ti parla anche mentre dormi .

Potrebbe esserci una verità più sottile in tutto questo, forse ricordiamo il dolore anche perchè ci illudiamo che ricordando possiamo capirlo, domarlo, dargli un senso. La felicità non chiede spiegazioni invece, quindi cominciamo a vivere in funzione di quello che ci ha fatto male. Costruiamo corazze, mettiamo nomi e lasciamo fuori qualsiasi cosa assomigli a ciò che ci ha spezzati. Ma nel farlo, dimentichiamo che c’è stato un tempo in cui siamo stati felici, forse soltanto per un attimo: ma c’è stato. E quel tempo ci ha plasmati tanto quanto il dolore, solo che non lo ricordiamo abbastanza. Chissà cosa succederebbe se iniziassimo ad allenare il cuore a ricordare la bellezza, a custodire la gioia con la stessa cura con cui abbiamo sepolto le lacrime. Perchè potrebbe essere che non siano le ferite a dire chi siamo, ma quello che abbiamo saputo amare, anche mentre sanguinavamo.

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SUL FILO TRA SPERANZA E ILLUSIONE

Dov’è il confine tra speranza e illusione? Come si individua quel punto invisibile tra ciò che ci tiene in piedi e ciò che ci trascina lontano dalla verità? E’ difficile percepirlo, ma quando lo oltrepassi senti dolore. La speranza è radicata nella realtà: respira con lei, sa aspettare, cambiare forma. Non pretende ma resiste, salva, ha radici, è fatta della sostanza dei semi e sa attendere, accogliere, morire e rinascere. Chiede solo di essere coltivata con onestà. L’illusione brucia, non sa aspettare, promette scorciatoie e ti porta dove vuoi andare, ma solo per abbandonarti a metà strada. Spesso nasce da una ferita, da un vuoto che non sappiamo nominare. Assomiglia ad un desiderio impossibile, come quelli che avevamo da bambini quando pensavamo di diventare una fata, un airone, una sirena o un addestratore di pokemon. O più semplicemente desideravamo che chi ci stava facendo del male sparisse per sempre.

A volte sembrano sorelle speranza ed illusione, hanno lo stesso sorriso, lo stesso sguardo rivolto al futuro, la stessa voce che dice: “ancora un passo, fidati”. Ma poi la differenza la senti nel vuoto che ti resta. La speranza ti lascia forza, anche quando cade. L’illusione ti lascia macerie. Una ti veglia con amore, l’altra ti seduce. La linea che le divide non è fatta di parole, ma di verità interiori che ognuno deve imparare ad ascoltare; è sottilissima , ma se impari a percepirla ti salva e ti insegna a credere ancora senza farti male.

Io penso che tutto ciò che non è accaduto ha lasciato nel cuore una traccia lieve, invisibile, come il volo di chi non è mai partito e da quel silenzio la speranza ha cominciato a cantare .

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IL TEMPO CHE NON HO VISSUTO MI PARLA ANCORA

Ci sono cose che non ho detto, scelte che non ho fatto , strade che ho guardato da lontano mentre con passo esitante ne imboccavo un altra…rimpianti. Per anni ho provato a cacciarli come ospiti sgraditi, oppure mi ci sono tuffata dentro costruendo mondi paralleli , vite vissute soltanto dentro di me. Rifugi.

Se li guardiamo con onestà i rimpianti sono memorie con un cuore pulsante, pagine non scritte che ci aiutano a capire chi volevamo essere e non chi siamo diventati. A volte penso a chi non ho saputo amare meglio, a chi ho lasciato andare troppo in fretta, a chi ho tenuto vicino troppo a lungo. A quella parola che non ho avuto il coraggio di dire, quel gesto che per orgoglio non ho fatto. Soprattutto a quella parte di me che ho ignorato per troppo tempo. Al talento che ho trascurato e al desiderio che non ho seguito.Quelle possibilità non si possono riavere ed il passato non si può riscrivere.Il rimpianto non è un invito a rimediare, ma una forma di memoria che va guardata in faccia, senza scuse, non perchè ci offre un altra occasione, ma perchè ci mostra quanto può costare perdersi.

E quanti possono essere i rimpianti di una generazione? Di un paese? Di una civiltà? Ci pentiamo di non aver alzato la voce quando c’era da difendere qualcosa. Di aver guardato altrove quando il mondo chiedeva presenza. Di aver consumato troppo, amato poco, dimenticato in fretta. Ma poi, con quella malinconia cosa ci fai?ti pieghi o ti svegli? Ti rassegni o ricominci?

I rimpianti non sono errori da cancellare, ma tracce lasciate dal tempo che non abbiamo vissuto e, a volte, seguendo quelle tracce si trova un sentiero nuovo…o almeno, il coraggio di non perdersi più.

Ma alla fine, se ogni passo percorso fosse proprio quello giusto? Forse non c’è stato nessun errore, solo il disegno misterioso di un tempo che ci ha portati esattamente dove dovevamo essere, anche mentre credevamo di perderci. Forse ogni scelta non fatta non era da vivere, ma da ricordare senza averla toccata e, anche così, ci ha cambiati.

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LETTERA D’AMORE AD UN MONDO STANCO

Ti stanno raccontando una storia, ma non è la verità e tu, mondo mio, sei troppo esausto per accorgertene, ma io te lo dico lo stesso, perchè non voglio amarti da cieca e muta.

Mondo mio, mondo di tutti noi, ti vedo mentre barcolli tra violenza e apatia, mentre perdi il senso della misura e anche quello del cuore. Hai dimenticato quello che era il tuo progetto per noi? Stai confondendo la forza con l’arroganza, la giustizia con la vendetta, la libertà con il diritto di calpestare.

Ti stai muovendo in modo scomposto ora, come chi ha perso la direzione, ma finge di sapere dove sta andando ed io ti guardo da qui, da questo spazio incerto dove si raccolgono le cose che cadono: le parole che non hai ascoltato, le vite che non hai protetto, le speranze che hai lasciato a metà.Basta con questo passo arrogante di chi vuole dominare, schiacciare , basta correre verso qualcosa che non capisci neanche tu, perchè trascini con te tutto quanto: non confondere il progresso con la corsa, la velocità con la salvezza. Ci sono ancora dei bagliori nel tuo disordine: una bambina che canta mentre tutto trema, un uomo che salva una pianta sotto le bombe, qualcuno che si ferma, finalmente, senza passare oltre.Te lo dico perchè io stessa sto cercando di imparare a non chiudere gli occhi, a restare presente anche quando fa male, a non diventare spettatrice muta, a non smettere di cercare la parte di te che può guarire. Guarda che forse sei ancora in tempo, c’è ancora quella linea sottile tra chi si spegne e chi si salva e io, nonostante tutto, ci credo che puoi farcela. Tengo stretto questo pensiero ottimistico perchè se lo perdo resta solo la paura. Quindi mondo mio, mondo nostro, respira più piano, ascolta chi non urla e prova, almeno una volta, a camminare senza distruggere tutto. Tu lo sai che non possiamo più vivere con gli occhi puntati sugli schermi che selezionano il visibile, mentre tutto accade fuori campo. Non lo possiamo dire “non lo sapevo” perchè siamo stati noi a non voler guardare, a trasformare l’informazione in intrattenimento, la compassione in strategia, a nascondere la verità in un’opinione tra le tante.

Noi stiamo guardando gli orrori senza tremare mondo, quindi svegliati bell’addormentato! Hai ancora la possibilità di scegliere il dubbio , puoi ancora chiederti : “chi me lo sta raccontando”? Perchè se non lo fai tu qualcun altro lo farà al tuo posto ed ha già iniziato a dirti cosa pensare, cosa temere chi odiare e chi ignorare. Urla a squarcia gola mondo mio, perchè la menzogna non ha bisogno di forza, ma solo del tuo silenzio.

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NON POSSIAMO VIVERE COME SE NULLA ACCADESSE

Le situazioni sono diverse, i luoghi e i tempi non si sovrappongono. Eppure l’anima nera è la stessa: l’ombra che attraversa la storia quando il potere diventa indifferenza, quando la forza si sostituisce alla pietà, quando il silenzio diventa complicità.”Chi non ricorda la storia è condannato a ripeterla”. Oggi quelle parole non sono polvere d’archivio, sono un monito che ci guarda negli occhi.Non possiamo vivere come se nulla accadesse, non oggi, non quando il mare trattiene ancora l’eco di piccole barche fermate prima di arrivare a Gaza.Non quando il gesto fragile di una flottiglia diventa l’unico modo per dire “non ci arrendiamo al silenzio”. Ottanta anni fa il mondo si trovava davanti allo stesso abisso. Era il 1940, e a Dunkerque centinaia di migliaia di uomini erano intrappolati sulle spiagge. La loro sorte sembrava segnata: avrebbe potuto essere massacro. Eppure centinaia di barche civili, spinte più da necessità che da eroismo, attraversarono il mare e strapparono vite al destino. Non cancellarono la guerra, ma salvarono una parte di umanità che non si era piegata. E mentre a Dunkerque una strage fu evitata, altrove l’orrore cresceva silenzioso, passo dopo passo. Il mondo sapeva, ma non vedeva. E così milioni di ebrei furono deportati, sterminati, cancellati dalle città e dai registri, insieme a rom, oppositori politici, omosessuali, disabili. Quella fu la vera lezione tradita della storia: non solo la violenza, ma l’indifferenza che la rese possibile. Il silenzio, l’abitudine, lo sguardo distolto. Allora il mondo aveva taciuto troppo a lungo, aveva piegato la testa davanti alla logica della forza, solo dopo, a un passo dall’abisso trovò il coraggio di opporsi. E oggi? La storia ci mette davanti allo stesso specchio. Guerre dichiarate “necessarie”, civili che non contano, confini che trasformano la cura in crimine, l’indifferenza che torna comoda. Forse questa è la seconda possibilità del genere umano: riconoscere per tempo ciò che allora abbiamo finto di non vedere. Non possiamo vivere come se nulla accadesse. Forse non salveremo Gaza con una flottiglia, forse non fermeremo le guerre con uno sciopero, ma almeno salveremo noi stessi dal diventare spettatori complici. Perchè la dignità non è un lusso, è l’unica eredità che ci resta quando la storia torna a chiedere: vuoi piegare la testa o vuoi custodire ancora la libertà di scegliere, camminando dritto anche nel vento contrario?.So che sembra follia, ma con un ottimismo che non si osa guardare in faccia io continuo a credere che il genere umano sappia ancora reinventarsi.E se pure la storia ci ripete i suoi abissi, malgrado le macerie tutte intorno a noi, so che possiamo scegliere di cambiare e che non è tutto scritto.

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GLI AVVOLTOI

Non volano, camminano tra noi. Hanno facce rispettabili, sorrisi che simulano le mani tese, parole che imitano la cura. Però aspettano: che qualcosa si spezzi, che qualcuno cada, che una storia finisca. Non creano, non custodiscono e non amano: loro si avventano … su un dolore come su un banchetto, sulle rovine come su un bottino.Non hanno bisogno di armi, basta la loro pazienza fredda, il loro sguardo che misura le debolezze. Aspettano e poi…si catapultano.

Gli avvoltoi hanno molti nomi. A volte li chiamiamo soci, a volte fratelli, eredi, a volte politici: non guardano mai in faccia chi soffre, ma ciò che resta da prendere. In loro riconosciamo sempre la stessa fame: quella di chi non ha mai saputo nutrirsi di vita e attende solo che gli altri diventino cadaveri. Hanno la calma dei predatori ben nutriti e la fame di chi non è mai sazio; si nutrono di cadute, perchè non hanno mai saputo camminare da soli …e non uccidono: aspettano che lo faccia il tempo e intanto, apparecchiano la tavola.

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ONESTA’ INTELLETTUALE

L’onestà intellettuale non è un dono, è una scelta quotidiana: quella di non tradire la verità nemmeno quando ci fa comodo. E’ sapere quando tacere, quando ammettere un limite, quando lasciare spazio a ciò che resiste alle nostre ragioni . E’ soprattutto non piegare le parole per farle stare dalla nostra parte, non usare la conoscenza come un’arma. L’onestà intellettuale è fragile, non regge il peso di certe frasi e non tollera il calore delle vanità …eppure è così forte, resta in piedi anche quando intorno frana tutto. Si può riconoscere da un silenzio, da un “non so” detto senza vergognarsi, da un dubbio custodito come una forma di rispetto. Certamente non illumina le piazze, ma è capace di scaldare le coscienze, non convince chi urla, ma sostiene chi ascolta. Il suo compito non è vincere, ma non tradire. E’ un gesto invisibile, ma che salva le coscienze.

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GERUSALEMME

Sei il luogo dove Dio è stato chiamato per nome e l’uomo ha risposto con la spada. Dove la fede è altissima, eppure la pace non arriva mai. Hai portato in grembo il primo Tempio e l’hai visto crollare. Hai sentito le urla di chi partiva in esilio, e le voci spezzate di chi tornava per ricostruire. Ti abbiamo salita con le croci, e presa con le spade. Coperta d’oro e poi di polvere.Cristiani, ebrei, musulmani- ognuno ha inciso il proprio passo su di te con prepotenza. Ma tu non appartieni a nessuno. Semplicemente sei. Sei la pietra sotto le mani che pregano, il muro che non separa più, ma trattiene le lacrime. Sei la cupola che sfida il cielo, il sepolcro che custodisce l’assenza, la via Dolorosa di chi cerca senza trovare. Nata molto prima degli eserciti e prima di ogni mappa, eri una collina silenziosa sotto il cielo. Poi sono venuti i re, con i loro templi d’oro, e i profeti, con le loro parole brucianti come fuoco. Hai conosciuto Davide, custodito Salomone. Hai tremato sotto i passi di Gesù ,hai vegliato il volo di Muhammad nella notte. Eppure, oggi, non sei che un corpo conteso. Uno scheletro di fede rivestito di filo spinato. Ogni giorno milioni di piedi ti sfiorano, ma in pochi si inginocchiano davvero. Ti fotografano, ti proclamano, ti usano come simbolo. Ma non sei un’icona, sei una ferita che non si rimargina. Ogni volta che qualcuno grida “Dio è con noi” , un altro muore in tuo nome. Ogni volta che si costruisce un muro per difenderti, si cancella una strada che portava alla pace. Allora resti ferma, tra le mani di chi prega e le armi di chi dà ordini. Sei una testimone stanca, una prigioniera di troppa fede , ostaggio dell’idea di essere sacra. Forse non vuoi più essere promessa, nè destino, forse vuoi essere soltanto ciò che eri all’inizio: un luogo dove l’umano incontra il mistero…e non lo usa. Se un giorno torneremo non per possederti ,ma per ascoltarti, non troveremo più altari, nè troni, nè confini. Troveremo soltanto un respiro e allora, forse,comprenderemo che non era Dio a chiedere sangue, ma noi a offrirglielo.

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LA LINEA INVISIBILE

Lì, dove c’è qualcosa che non ci appartiene, non si bussa, non si chiede: si aspetta. E’ necessario sapere quando tacere, quando non domandare, quando non guardare troppo dentro gli occhi di qualcuno che sta cadendo: non per indifferenza, ma per delicatezza. Perchè ci sono fragilità che tremano sotto uno sguardo.

Rispetto è accorgersi che si può fare un passo in più e decidere di non farlo. E’ non prendere quello che l’altro non ti ha dato, non spiegare una vita che non ti appartiene con le tue parole. Non dover vincere per forza, anzi, è saper perdere con dignità, senza cercare rivincite, senza alzare la voce per essere visti. Ci vuole rispetto per le scelte che non capiamo, per i silenzi che non ci riguardano e per i confini che l’altro non sa neanche spiegare. Ci vuole rispetto per le distanze che fanno male, ma che qualcuno ha bisogno di mettere. Non sempre chi si allontana vuole andarsene, a volte ha solo bisogno che nessuno lo segua

E’ una forma di presenza che non invade, il rispetto, come una verità silenziosa. Non si impone, non fa rumore, non conquista, ma quando manca si sente, come un vuoto che toglie il respiro , mentre tutto intorno sembra quieto.

Non serve capire tutto. Basta sapere dove non entrare.

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CIAO ROBERT

Ieri, con discrezione , Robert Redford se n’è andato dal mondo. Non era solo un attore, non solo un regista, non solo il fondatore di Sundance. Era un uomo che ha creduto nel cinema come possibilità, che ha lottato per lasciare spazio a voci nuove, scomode, indipendenti. Ha amato la natura, ha lottato per i diritti dei popoli, ha protetto il silenzio dal rumore, ha costruito una casa per il cinema che non aveva casa: il SUNDANCE

Ma ora che non c’è più, cosa resta? Resta un volto (bellissimo) quello sì, quello in questi giorni sarà ovunque, ma soprattutto l’eco di una misura rara: quella di chi sa fare un passo indietro senza perdere forza. Robert Redford non era solo il mito bello e irraggiungibile, era il simbolo di una sobrietà luminosa, di una grandezza senza arroganza, di una gentilezza che non voleva farsi notare, ma farsi sentire. Ed in un tempo in cui l’arte grida, lui sussurrava (anche ai cavalli). In un tempo in cui l’ego invade, lui faceva spazio.

Quando la leggenda dorme , il mondo resta un po’ più silenzioso. Ma forse, proprio per questo, si può ascoltare meglio tutto ciò che Redford ha lasciato non detto.Resta il peso della memoria, di un’epoca del cinema che non tornerà e con quella idea, quasi dimenticata, che l’arte possa ancora servire qualcosa di più grande dell’ego.

Maryl Streep, sua co-protagonista in uno dei miei film preferiti : “Leoni per agnelli” , lo ha salutato parafrasando il titolo, ha detto : “uno dei leoni se ne è andato. Riposa in pace mio caro amico”.

Sì Mister Redford, un leone se ne è andato in silenzio e noi oggi non possiamo fare altro che inchinarci

Cecilia Buglioni